Uccidi il Buddha

Gulliver è disteso a terra, frastornato. Prova a mettersi seduto ma qualcosa gli impedisce di muoversi. Ricorda solo il mare in tempesta e il fragore delle onde che lo scaraventano fuori dalla barca. Apre gli occhi e vede dei piccoli omini, alti non più di 15 cm, che si affannano attorno a lui.
Sorride, forse ha sbattuto la testa troppo forte. Guarda meglio.
Qualcuno si è arrampicato sul suo petto come su una montagna, altri stanno tendendo le funi che dovrebbero imprigionarlo, arpionandolo al terreno.
Ma quelle che per loro sono funi possenti per lui sono fili sottili e con uno strappo si libera da quei legacci e si alza in piedi, sollevando anche le braccia per sgranchirsi, in tutta la sua incredibile altezza.

Nella mitologia greca i giganti sono esseri mostruosi, figli della Terra fecondata dal sangue di Urano. Dotati di forza eccezionale sono acerrimi nemici degli dei.
Nella guerra contro le divinità vengono colpiti dal fulmine di Zeus, e i loro corpi fumanti sono sepolti sotto monti che si trasformano in vulcani.
In letteratura ci sono Gargantua e Pantagruele, Jack e la pianta di fagioli, nei testi biblici Davide e Golia.

L’altezza e l’ingigantimento, nei miti, nella letteratura, nella storia dell’umanità, sono sempre utilizzati come una metafora del potere.
Nella nostra storia i giganti sono le statue erette sui piedistalli, le piramidi, la torre di Babele, gli Ziggurat, i preti dai pulpiti, i dittatori dalle tribune, il Buddha d’oro di cento metri, le facce dei presidenti scolpite sul monte Rushmore, la Statua della Libertà. San Carlo Borromeo che gli puoi entrare nella testa e vedere dai suoi occhi.

Le scarpe col tacco sono state create originariamente per i maschi. Nell’antica Grecia gli attori avevano scarpe col tacco alte anche 10 centimetri: più importante era il ruolo più alto il tacco. E poi i soldati persiani le indossavano per fissare i piedi nelle staffe e Re Luigi XIV che fece realizzare un paio di scarpe col tacco rosso, che si dice abbiano ispirato le famose Louboutin.

Dio è l’Altissimo, il sovrano Sua altezza, la camera dei Lords è la camera alta, c’è l’alto patrocinio, l’alta protezione, il sommo, la madre superiora…

Anche la mia storia personale è costellata di storie verticali, ovvero storie in cui i rapporti sono stati tutti di natura gerarchica.
I giganti erano i miei genitori quando ero piccola, padroni assoluti della mia vita, la maestra, il macellaio, e il rapporto tra adulti e bambini è una delle discriminazioni e oppressioni meno indagate di sempre.
Da bambina non vedevo l’ora di diventare grande, perché essere grande mi avrebbe garantito di essere forte, di affrontare ogni sfida con coraggio, di sentire tutta la mia grandezza interiore e incarnarla finalmente in un corpo all’altezza, come Gulliver che strappa le corde che lo imprigionano e si stiracchia.
Non ci sarebbero state corde che tenessero, sarei stata libera.
Se era una gara a chi stava più in alto allora io sarei diventata alta. Molto più alta dei miei genitori.

Se incontri il Buddha per la strada uccidilo, è il titolo di un libro che parla di giganti da ridimensionare, di statue da buttare giù dal piedistallo, di finirla di rimpicciolirsi o ingrandire gli altri, un invito a smettere di dare una delega in bianco al papà o al papa, al capo, al leader politico, allo psicoterapeuta, togliersi dalla logica verticale del potere. Né obbedire né comandare.
Possiamo pensare che non sia solo un’utopia anarchica svincolarci da forme mentali e organizzative gerarchiche, centralistiche e verticistiche e invece muoverci nella nostra quotidianità verso forme molto più decentrate, distribuite e, appunto, orizzontali?
Quand’è che ci siamo fatti convincere che non ci sono alternative? Cosa pensavo quando ero una bambina? Ero una filosofa come sono tutti i bambini o avevo già smesso di farmi domande?
Cosa provo oggi quando non guardo dall’alto o dal basso le cose? Sono capace di non essere né figlia né madre ma sorella?

L’esempio più bello di organizzazione spaziale è il cerchio. Tutti alla pari e tutti che ci si guarda in faccia.
Il cerchio dei giochi e il cerchio dei balli. Il cerchio che si ritrova nelle danze degli indigeni americani, dei pastori dell’Africa orientale, nel pacifico e tra gli aborigeni australiani. E ovviamente nelle danze popolari di tutta Europa.

Quest’estate ero in Danimarca ad Aarhus al Kunstmuseum e c’era una mostra di Ron Mueck, che è quell’artista che riproduce in modo iperrealistico figure umane gigantesche, o molto piccole ma mai della misura ‘giusta’.
Ecco, attorno alle sue figure ho sentito quella fascinazione di rivedere le cose enormi come era nella mia visione da bambina. Ma vederle ora da adulta smuove quel sentimento di malinconia e tenerezza per la me bambina che aveva un tempo e un’attenzione che coglieva ogni singolo dettaglio, ogni piega, ogni vena, ogni increspatura della pelle, ogni particolare del tessuto delle camicie, la pietra incastonata nell’orecchino, il singolo capello.
E forse la nostalgia dei giganti è anche nostalgia di quel tempo in cui i grandi sapevano tutto, si muovevano con saggezza e avevano capito cos’è l’amore, il dolore e la felicità. Cosa è giusto e cosa è sbagliato: loro lo avevano già capito e io l’avrei saputo una volta diventata grande.

Ancora oggi di fronte a una statua di cento metri di Buddha, quando mi sento infinitamente piccola, sento lo struggimento per quando si poteva semplicemente giocare, fare la cosa più improduttiva e anarchica al mondo.

Un tempo in cui tutto era giusto mentre ora è tutto sbagliato.


Testo scritto da Linda Ronzoni, direttrice di Il Lazzaretto
Immagine generata in dialogo con Intelligenza Artificiale

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Questo articolo è stato scritto da Federico

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